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 ANCORA SUI TAXI COLLETTIVI 
(dicembre 1997 Maurizio Berruti)

 

Il cosiddetto "taxi collettivo" , come ormai è chiaro a tutti, potrebbe rappresentare, per il nostro settore, o uno strumento tale da garantire nuovi spazi di lavoro oppure un nodo scorsoio in grado di stritolarci. Infatti, lasciando l'iniziativa nelle mani dei politici e dei sindacati corriamo il rischio di vedere alla inflazionato il nostro comparto. Ricordiamo che la proposta del "taxi collettivo", partorita dalle menti legislative del Paese, nasce esclusivamente dalla necessità di reperire posti di lavoro per soggetti precedentemente licenziati dai posti pubblici. Non solo, i politici non hanno nessuna intenzione di perdere il controllo su questi lavoratori che diverrebbero autonomi. Cercheranno, di conseguenza, di gestirli attraverso forme associative create all'uopo, dirette dagli ex dirigenti sindacali dei settori pubblici dai quali provengono. Quanto fin qui asserito è in parte espresso dall'articolo del SOLE 24 ORE riportato di lato. Per impedire che questo disegno si completi abbiamo un'unica possibilità. Dobbiamo gestirlo noi tassisti. Gestione che, si badi bene, non può essere fatta, per così dire, alla "carlona", ma che ha bisogno di strutture economiche, come cooperative e consorzi, in grado di garantire organizzazione e responsabilità. Noi tassisti attualmente serviamo circa il 6% della popolazione romana. Dobbiamo, dunque, recuperare l'altro 94%. Utilizzando le autovetture che svolgono il turno di mattina, si possono effettuare servizi di taxi collettivo il pomeriggio. Possiamo poi aumentare o diminuire le auto impegnate, senza nulla togliere al nostro lavoro e senza, soprattutto, inflazionare di taxi il nostro settore. Da notare inoltre che per effettuare il servizio di taxi collettivo, è necessario il rilascio di una concessione. Il tassista singolo non può avere la licenza del taxi normale e la concessione del taxi di linea. Lasciamo a voi le conclusioni del problema. Articolo tratto dal " Sole 24 Ore" del 22/10 /97 -- IL CASO NAPOLI -- La demagogia viaggia in taxi, ma "collettivo" di Roberto Ciuni L'idea di attenuare i problemi del traffico cittadino mettendo in circolazione dei taxi collettivi è deprimente, tanto per cominciare. Ricorda le camionette dell'immediato dopoguerra , con la differenza che queste erano un simbolo dell'arte d' arrangiarsi di un Paese sconfitto, distrutto, avvilito, rimasto senza autobus e senza benzina, quindi un simbolo di vitalità, mentre i taxi collettivi rimandano alla Turchia, ad Haiti, Paesi che, con tutto il rispetto, non fanno parte di quell' Europa nella quale dovremmo entrare. A Istanbul, scassatissimi pulmini abusivi chiamati "dolmus" saltano i ponti sul Corno d'Oro carichi di clienti diretti nei quartieri del Bosforo; ad Haiti sfrecciano i "carritos" reperti dell'archeologia automobilistica, che partono solo quando tutti i posti sono occupati. In tempi recenti le camionette furono riesumate in Italia a Napoli dalla privatissima iniziativa di alcuni conducenti illegali: Ford Transit, Iveco Daily, perfino piccoli torpedoni Om decrepiti, adattati per fornire un'alternativa ai mezzi pubblici assai carenti. Nacquero delle vere e proprie "linee" con tanto di orari, di tariffe, di fermate: passaggi più frequenti nelle ore calde della giornata, ridotti nei momenti di calma, supplemento di prezzo in caso di scioperi degli autoferrotranvieri "ufficiali". Il sistema funzionava, ma andava preso come uno dei tanti armeggi d'una città disfatta e non altro: invece, dopo anni di onorato abuso, la giunta Bassolino ha pensato di fargli concorrenza attraverso sedici Fiat Scudo battezzati taxi colletivi e muniti di regolari licenze. I quali taxi, per tremila lire a testa, trasportano da alcune zone periferiche, come quella degli ospedali, a dei capolinea prossimi al centro della città. L'esempio bassoliniano pare che sia piaciuto agli amministratori di Genova, che da giovedì prossimo dovrebbero copiarlo, di Roma, dove pensano di mettere in funzione linee sperimentali entro Natale, di Firenze, Palermo e Torino, città nelle quali è per il momento allo stato di progetto. Non mancano, naturalmente, gli ideologi del sistema. A nessuno di loro viene da proporre, per esempio nel caso di Palermo, di migliorare il servizio pubblico di autobus per renderlo decente o, nel caso di Roma, di potenziare i parcheggi, due cose essenziali per snellire il traffico cittadino. Troppo facile. Linguaggio politichese vuole che il taxi collettivo sia spacciato "come servizio di collegamento con i tradizionali mezzi di linea", frase che può dire tutto o niente. Tanto che viene da sospettarci un trucco. Scommettiamo che la faccenda nasconde qualcosa ? Forse che s'intenda rimediare così alle disastrose gestioni di certi trasporti comunali che amministratori incapaci non sanno far funzionare ? Forse che, propagandati i taxi collettivi come utili, utilissimi, sia più facile distribuire un po' di nuove licenze attraverso qualche sindacato artigiano "amico" ? Chi sa.